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16/05/2025

La morosità non è il problema. È il sistema che non vuole vedersi.

Il 14 maggio ho aperto i lavori del Working Group IKN sulla morosità nel servizio idrico integrato .
Un contesto verticale, tecnico, operativo.
Un contesto dove le domande sono spesso chiare, e le risposte devono esserlo ancora di più: “Qual è il canale valido? PEC o raccomandata digitale? È opponibile? Si può fare?”

Io non sono un tecnico del settore idrico.
Non lavoro nella regolazione, nella compliance, nella gestione del credito.
Eppure ero lì, con una presentazione intitolata:

“Prima del modello AI, serve un modello di pensiero.”

Perché?
Perché oggi sono Product Marketing Manager in NoiEnergia , dove coordino team, strategia e innovazione sotto la guida dell’ AD Saverio Bufi .
Ma soprattutto, perché sono un facilitatore.
E il mio lavoro – anche al di fuori dell’azienda – consiste nell’aiutare imprese, gruppi di lavoro, manager e consulenti a vedere cosa stanno facendo, e capire se stanno osservando nel posto giusto.

A quel punto, sapevo due cose.
La prima: avevo detto qualcosa di vero.
La seconda: forse non era il momento per ascoltarlo.

IL PROBLEMA NON È IL CANALE.
È IL SISTEMA.

Quando ho lasciato la parola agli altri, sono rimasto in ascolto.
E ciò che ho ascoltato – tra le righe –
non era solo un confronto tra strumenti. Era la mappa di un sistema bloccato.

  • PEC valide ma inutili per caselle piene
  • anagrafiche errate o obsolete (fino a clienti morti da 30 anni)
  • difficoltà di interoperabilità tra sistemi e CRM ingestibili
  • retaggi analogici che zavorrano anche le soluzioni digitali
  • problemi di legittimità legale per canali alternativi come WhatsApp o SMS

Cosa ho visto?
Un paradosso:
si cerca la digitalizzazione come soluzione,
ma ci si affida a
processi pensati per il cartaceo.

Ho ascoltato storie in cui il cliente riceve una lettera cartacea…
che si scopre destinata a un defunto.
Ho visto emergere l’idea che manchi una vera cultura di comunicazione con l’utente,
una educazione condivisa sul senso stesso del servizio.

E quando qualcuno proponeva approcci proattivi,
come piccoli chatbot o sistemi relazionali…
venivano percepiti come “tentativi” più che come strategie strutturate.

In risposta, ho riformulato la domanda.
E se il problema non fosse “come inviare una notifica valida”?
Ma come evitare di doverla inviare, grazie a:

  • dati puliti,
  • flussi relazionali pre-problema,
  • osservazione predittiva sui segnali di rischio

Ho tracciato un flusso alternativo:

  1. Osserva il cliente prima che si allontani (AI supervisionata su pattern comportamentali)
  2. Analizza l’affidabilità del dato (anomaly detection, bonifica tramite interazioni umane)
  3. Attiva azioni educative (microcampagne, gamification idrica, trigger soft)
  4. Decidi se e quando notificare – solo se ha senso

Non ho portato una soluzione.
Ho portato un modo di leggere il problema.
E da lì, forse, un nuovo punto di partenza.

IL IL PARADOSSO CHE NON VOGLIAMO VEDERE (MA È SOTTO I NOSTRI OCCHI)

Durante il confronto, un partecipante – responsabile di un ente gestore – ha condiviso un’esperienza che, senza volerlo, ha reso visibile uno dei paradossi più emblematici del settore.

Ha affermato che la digitalizzazione, per loro, è un tema complesso.
Difficile da attuare. Culturalmente faticoso. Tecnologicamente distante.

Ma subito dopo ha raccontato due esperienze operative che, a tutti gli effetti, sono esempi riusciti di digitalizzazione ben accolta:

  • Una campagna SMS per stimolare l’autolettura idrica ha generato un ritorno economico notevole.
  • Un portale online per gestire operazioni comuni ha raggiunto un terzo delle utenze attive, con utenti che oggi chiedono spontaneamente l’aggiunta di nuove funzionalità.

Il problema non era la tecnologia.
Era la percezione della tecnologia.

Questo passaggio rivela un bias cognitivo forte:
quando qualcosa funziona in modo semplice e immediato, tendiamo a non riconoscerlo come “digitalizzazione”, ma come eccezione o “tentativo riuscito”.

In realtà, non è il digitale a essere complicato.
È l’ assenza di un pensiero progettuale che rende tutto frammentario, non sistemico.

Ecco l’effetto collaterale più pericoloso:
si cercano strumenti per risolvere un problema, senza mai chiedersi se il problema è stato formulato nel modo corretto.
Una buona azione (come un SMS mirato) non nasce da una strategia.
Accade. Funziona.
E poi viene archiviata come “caso fortunato”, invece di diventare modello osservabile.

Se non impariamo a riconoscere il valore nascosto nelle azioni che già funzionano,
continueremo a dire che il cambiamento è difficile,
anche mentre i dati ci stanno già mostrando che è possibile.

CHI STA FACENDO LE DOMANDE GIUSTE?

Alla fine della giornata, una cosa era chiara:
il problema è reale. Il rischio è concreto. Le soluzioni sono urgenti.

Tutti i presenti al Working Group avevano competenze verticali autentiche:
conoscenze legali, esperienza operativa, dimestichezza con sistemi e normative.

Il mio contributo però non stava lì.
Io non sono lì per validare un canale o consigliare una clausola.
Sono lì per porre una domanda diversa, e forse per spostare il focus un metro più indietro.

Perché oggi, nel 2025, parlare di AI o digitalizzazione senza un pensiero progettuale è un rischio culturale.
Non è questione di tool, ma di visione.

  • La morosità non si previene con un SMS.
  • Non basta una PEC “one-shot” per ricostruire una relazione.
  • Non esiste CRM che possa funzionare se non sappiamo cosa vogliamo chiedere al dato.

E allora serve qualcuno che tenga insieme i pezzi.
Serve chi sa ascoltare anche quando non si parla di tecnologia.
Serve un facilitatore che non dica dove andare, ma chieda cosa stiamo cercando.

Ecco perché ho scritto questo editoriale.
Non per concludere un evento.
Ma per continuare un confronto.
Fuori dai tavoli, fuori dalle slide.

Dentro alle organizzazioni, nei team, nelle riunioni che iniziano con:

“Come lo risolviamo?”
e forse dovrebbero iniziare con:
“Lo stiamo guardando bene, il problema?”

Cosa penso?

In questi mesi, e soprattutto durante il Working Group IKN, ho visto quanto sia diffusa la corsa alla soluzione: strumenti legali, automazioni, notifiche digitali. Ma senza un pensiero progettuale a monte, ogni soluzione rischia di inseguire il sintomo. Il mio approccio – come facilitatore e strategist – non si basa sulla risposta giusta, ma sulla formulazione corretta del problema. E se il problema è formulato male, anche l’AI più evoluta, il CRM più sofisticato o la procedura più “opponibile” ci porteranno nella direzione sbagliata. Serve un pensiero sistemico, serve tempo, serve metodo. E forse serve – prima di tutto – il coraggio di ammettere che non stiamo guardando dalla distanza giusta.
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